Un uomo da bruciare

Un uomo da bruciare, film d’esordio di Paolo e Vittorio Taviani, e Valentino Orsini, fu proiettato la prima volta nell’agosto del 1962 alla 23ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nella sezione informativa raccolse il favore della critica e ricevette una menzione della giuria per l’opera prima.

LA TESTIMONIANZA DI VOLONTÉ

 I fratelli Taviani mi chiesero di fare il protagonista di Un uomo da bruciare e fu il mio primo ruolo da protagonista. La contraddittorietà del personaggio che interpretavo sullo schermo venne fuori proprio dalla lettura della storia di questo sindacalista siciliano, Salvatore Carnevale, che esprimeva una sua reale esigenza di autonomia, contrastante però con la realtà in cui operava. Un personaggio mosso da proprie valutazioni, quindi a volte sorprendente, e a volte anche insicuro. In quegli anni fu difficile portare sullo schermo questa storia e questo personaggio, soprattutto perché i Taviani erano alla loro prima esperienza e nessuno ancora li conosceva. Io non avevo certo quello che viene detto un mercato cinematografico, e così fu molto difficile montare il film da un punto di vista finanziario, organizzativo.[1]L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti: 1960- 1969, a cura di F. Faldini e G. Fofi, Feltrinelli, Milano 1981.

Un uomo da bruciare

IL RICORDO DI PAOLO E VITTORIO TAVIANI

I fratelli Taviani avevano scoperto Gian Maria Volonté in teatro al tempo di Sacco e Vanzetti e pensarono di chiamarlo per un provino, che a una prima visione si rivelò però tra i meno riusciti. «Esprimeva sempre troppo, con la voce, con il movimento, noi restammo delusi, ma quando lo rivedemmo in proiezione cambiammo idea, perché ci trovammo di fronte a un volto particolare, che ci colpiva. Era così nuovo e diverso da tutti quelli che avevamo incontrato che non ce ne fregava più niente se recitava teatralmente oppure no, eravamo commossi, era straordinario e divenne il nostro protagonista».

VOLONTÉ ATTORE DI TEATRO

I Taviani pensarono che il problema fosse legato al provino, e invece questa teatralità esasperata si ripropose anche durante la lavorazione di Un uomo da bruciare: «Sembrava che invece di camminare sulle zolle della campagna siciliana calpestasse le tavole del palcoscenico e quindi un po’ preoccupati andammo insieme a lui in proiezione e ne parlammo. Ripensandoci capimmo che il personaggio era estroso, vanitoso, coraggioso, perché era un capopopolo, uno che ha un’alta coscienza di se stesso, Salvatore era importante non malgrado i suoi difetti ma grazie ai suoi difetti e uno di questi era quello di dare spettacolo per convincere i suoi compagni di lotta. Noi ci dicemmo che forse questa teatralità poteva venirci incontro, aiutare, e Gian Maria se ne convinse, però già avvertendo la presenza della macchina da presa e quindi cambiando la sua teatralità in una teatralità cinematografica».

LE DIFFICOLTÀ DI UN UOMO DA BRUCIARE

Le riprese furono sospese per questioni economiche e, in attesa che si riprendesse a girare, Volonté andò a interpretare un altro film, nonostante i Taviani gli avessero detto di non farlo. Raccontano i due registi: «Lo considerammo un tradimento e non trovammo i soldi finché Giuliani G. De Negri, che poi diventò il produttore di tutto il nostro cinema, vide il materiale in una proiezione riservata e accettò di coprodurlo».

VOLONTÉ CAPRICCIOSO E AMABILE

«Facemmo il film. Gian Maria aveva capito cosa fosse il cinema. Una cosa buffa è che alle prime proiezioni disse che non si era mai visto di schiena e aveva capito che si poteva recitare anche con il culo. All’epoca Gian Maria era amabile, ma anche capriccioso. Stavamo girando una scena notturna, Salvatore è seduto davanti all’osteria, i compagni stanchi, distrutti dalla fatica del lavoro, stanno tornando. Quando questi arrivano, Gian Maria non pronuncia la sua battuta: “Stop, stop, scusatemi, scusatemi…”. Si ricomincia, arrivano un’altra volta e un’altra volta non dice la battuta: “Non mi riesce…”. Una terza volta e non dice niente. Vittorio, che era il più smilzo di noi, gli saltò addosso e ci fu un principio di colluttazione. Questo per dire del suo carattere distruttivo, non saprei come altro definirlo».

IL FUNERALE DI SALVATORE

«Finale: il funerale. La mafia minacciò: le bandiere rosse a Sciara non svenotoleranno mai. Che fare? Il funerale senza bandiere rosse? No. Il direttore della fotografia ebbe un’intuizione: invece che bandiere rosse sventoleremo bandiere azzurre, il film era in bianco e nero e quindi il pubblico le avrebbe interpretate rosse. E così è stato. Quando arrivò il corteo funebre con le bandiere azzurre al vento eravamo tutti commossi, io mi sono voltato e ho visto Gian Maria piangere. Quest’uomo era da amare e noi l’abbiamo amato».

[Mirko Capozzoli, Gian Maria Volonté, Add editore, Torino, 2018]

References

References
1 L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti: 1960- 1969, a cura di F. Faldini e G. Fofi, Feltrinelli, Milano 1981.

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