Albertino Bonvicini
Nel 2010 ho raccontato la storia di Albertino Bonvicini, prima in un documentario poi in un libro pubblicato per Add editore.
Albertino Bonvicini: cominciamo dal principio
Nella seconda metà degli anni Cinquanta la famiglia Bonvicini viveva in via Filadelfia a Torino, nei pressi dell’allora Stadio Comunale. Nel 1958 nacque Albertino, due anni dopo il padre si rese irreperibile arruolandosi nella legione straniera. La madre, priva di qualunque sostegno economico e affettivo, prese la decisione di sistemare il bambino in collegio, prima all’Istituto Valle di Carmagnola, poi all’Istituto Teti di Ceriale. Nel novembre del 1966 Albertino fu trasferito all’istituto del Sacro Cuore di Gesù di Montaldo di Cerrina in provincia di Alessandria, più confortevole e vicino alla nuova residenza della mamma. (altro…)
Cristo si è fermato a Eboli
Io e la mia famiglia abbiamo trascorso una giornata ad Aliano nel maggio del 2017 sulle tracce di Cristo si è fermato a Eboli. Al nostro arrivo ci sembrò che in paese non ci fosse nessuno all’infuori dei pochi turisti e di alcuni anziani seduti ai tavolini del bar. C’era silenzio, ed era quello che speravamo di trovare. Ero reduce dal traffico di Napoli, da neopatentato avevo sfidato il caos del lungomare e ne ero uscito vittorioso salvando la preziosa vernice dell’auto a noleggio.
L’intervista: Lydia Alfonsi ricorda Volonté
Lydia Alfonsi è stata tra le prime persone che ho avuto il piacere d’intervistare per il libro Gian Maria Volonté. Un’attrice tra le più moderne della sua generazione. Dopo gli esordi teatrali il grande pubblico la scopre negli anni Sessanta attraverso alcuni sceneggiati di successo. In seguito il suo nome resterà legato ai classici interpretati in palcoscenico: Elettra, Fedra e Medea. Lydia è sorpresa dalla mia telefonata, stupita che qualcuno s’interessi ancora a lei. È l’attrice che più ha lavorato con Gian Maria Volonté, hanno condiviso il set di ben tre sceneggiati e quattro film.
Giuseppe Pescarmona, il sommergibilista.
Da bambino ero terrorizzato dall’inquilino del pian terreno. Si chiamava Pescarmona Giuseppe ed era stato un sommergibilista. Negli anni ho dimenticato tanti nomi, non il suo. Ho davanti agli occhi la sua cassetta della posta, poco sotto la nostra. Mi chiedevo sempre chi potesse scrivergli, non l’avevo mai visto insieme a qualcuno, mai. Negli anni Ottanta i genitori non venivano a prenderti a scuola, almeno non tutti, e certamente non i miei, se non il sabato. Quando rientravo da solo non avevo paura di attraversare corso San Maurizio, di passare davanti all’università, dove c’erano sempre buffi personaggi, né di quel bar dove il fumo era così denso che facevo fatica a scorgere i cabinati dei videogiochi, ma avvicinandomi a casa tra i miei pensieri si faceva largo lo spettro di Pescarmona Giuseppe.
Metti, una sera a cena con Volonté
Cinquant’anni fa andava in scena il grande rifiuto
Ottobre del 1968. Finite le vacanze in Sardegna, Gian Maria Volonté avrebbe dovuto cominciare le riprese di Metti, una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi. Tuttavia dopo una notte insonne restituì l’anticipo di due milioni e mezzo e rinunciò al film. La produzione bloccò le riprese e lo citò in giudizio per inadempienza contrattuale. A molti giornali non sembrò vero di poter mettere sulla graticola il compagno Volonté.
La maestrina dalla penna rossa
Ma ce n’è un’altra che mi piace pure; la maestrina della prima inferiore numero 3, quella giovane col viso color di rosa, che ha due belle pozzette nelle guancie, e porta una gran penna rossa sul cappellino e una crocetta di vetro giallo appesa al collo. È sempre allegra, tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per impor silenzio; poi quando escono, corre come una bambina dietro all’uno e all’altro, per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino, li segue fin nella strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa, porta delle pastiglie a quei che han la tosse, impresta il suo manicotto a quelli che han freddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci, tirandola pel velo e per la mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tutti, ridendo, e ogni giorno ritorna a casa arruffata e sgolata, tutta ansante e tutta contenta, con le sue belle pozzette e la sua penna rossa. È anche maestra di disegno delle ragazze, e mantiene col proprio lavoro sua madre e un fratello. [Edmondo De Amicis, Cuore, Fratelli Treves, Milano, 1886]
Volonté al Museo Nazionale del Cinema
Non tutti sanno che Gian Maria Volonté visse fino ai diciott’anni a Torino, e torinese si considerava. In questa stessa città mosse i primi passi d’attore sul palcoscenico del dopolavoro ferroviario di via Sacchi, qui nacque suo fratello Claudio e qui il 27 febbraio 1961 morì suo padre Mario. In tempi recenti questo legame è stato riallacciato grazie al Museo Nazionale del Cinema di Torino.