Lydia Alfonsi è stata tra le prime persone che ho avuto il piacere d’intervistare per il libro Gian Maria Volonté. Un’attrice tra le più moderne della sua generazione. Dopo gli esordi teatrali il grande pubblico la scopre negli anni Sessanta attraverso alcuni sceneggiati di successo. In seguito il suo nome resterà legato ai classici interpretati in palcoscenico: Elettra, Fedra e Medea. Lydia è sorpresa dalla mia telefonata, stupita che qualcuno s’interessi ancora a lei. È l’attrice che più ha lavorato con Gian Maria Volonté, hanno condiviso il set di ben tre sceneggiati e quattro film.
Il più grande
Racconta: «Gian Maria è stato il migliore attore italiano, il più grande. Aver lavorato con lui è stata la cosa migliore delle mie interpretazioni. Nella Pisana era un rivoluzionario contro il re. Un’opera che ebbe un successo enorme ma di cui nessuno oggi parla e di cui per altro non si parlò neanche allora per questioni politiche. Era il centenario dell’unità d’Italia e il successo enorme disturbò qualcuno. Avevo il pubblico che mi aspettava fuori dalla sede Rai, gli spettatori volevano essere sicuri che non fossi morta. Ci conoscemmo in quell’occasione.
Due anni dopo ci siamo ritrovati, prima nello sceneggiato Zio Vanja di Claudio Fino e poi in Sicilia in Un uomo da bruciare di Orsini e Taviani ma non avevamo scene da girare insieme. Cominciammo a frequentarci assiduamente pochi mesi dopo. Ero in Spagna per girare Il peccato di Jorge Grau. Mancava un attore, chiamai l’agente Fausto Ferzetti e gli dissi di avvertire Gian Maria. Insomma fece la sua prima apparizione in un film straniero grazie a me. Nel 1964 abbiamo lavorato in Vita di Michelangelo di Silverio Blasi. C’era una scena scritta molto bene, quella in cui lo ricordo meglio, un dialogo indimenticabile tra Michelangelo e Vittoria Colonna.
Abbiamo partecipato entrambi a Faccia a faccia di Sergio Sollima e infine a Porte aperte di Gianni Amelio dove Gian Maria fu incredibile.
L’ho riconosciuto uguale a me
È stato l’attore con cui ho lavorato meglio, non era invidioso, fatto raro nel nostro ambiente. Aveva un’opinione asciutta, un uomo indimenticabile. Il problema dei grandi è la solitudine, perché il loro non è recitare ma diventare. Io mi sono sposata per sfuggire alla vita di altre donne, perché recitare era come riportarle in vita. Gian Maria Volonté era come me, diventava il personaggio e questo costa molto nella tua vita privata. Non mi sentivo più Lydia. È un passaggio che ti porta dalla recitazione all’essere autore. Ecco, questo coinvolgimento l’aveva Gian Maria e l’avevo anche io. L’ho riconosciuto uguale a me. C’era dietro di lui una grande malinconia, tipica degli artisti, non degli attori, è diverso».