A fine autunno del 1964 Gian Maria Volonté tornò a condurre da regista il Teatro Scelta per rappresentare Il Vicario riadattato dall’amico Carlo Cecchi. L’editore Giangiacomo Feltrinelli, che aveva pubblicato l’opera in Italia, acconsentì alla trasposizione, consapevole che l’evento avrebbe fatto scalpore.
Carlo Cecchi
Il testo rappresentato completo sarebbe durato diverse ore. Questo il ricordo di Carlo Cecchi: «Trovai interessante il tema ma non così la forma che Hochhuth aveva dato al dramma. Ci sarebbe voluta una compagnia gigantesca, noi invece eravamo una compagnia piccola che avrebbe recitato in un piccolo teatro dove non c’era possibilità di fare scenografia, certo non da teatro realistico». Il locale scelto per lo spettacolo a Roma era in via Belsiana 48, tra via Condotti e via Borgognona. Il piccolo teatro da ottanta posti fu ricavato da uno scantinato di una chiesa sconsacrata, affittato da Giacomo Piperno. Due mesi prima della rappresentazione, Piperno presentò la domanda di agibilità per manifestazioni teatrali. Tuttavia temendo che gli venisse negata con qualche cavillo, in accordo con gli altri registrò lo spazio come Circolo Ricreativo Culturale di Ricerche Teatrali “Letture Nuove”, con accesso limitato ai tesserati.
La prova generale
I lavori di adeguamento dell’ambiente e le prove notturne della compagnia si svolsero senza destare particolare interesse ma a pochi giorni dal debutto un giornale romano iniziò una campagna denigratoria per impedire che il Vicario fosse messo in scena. La politica prese a interessarsi al caso, così come un anonimo “scultore” che, approfittando della neve caduta in abbondanza il 9 febbraio, realizzò una bara davanti alla casa di Gian Maria Volonté. La prova generale del Vicario era fissata per sabato 13 febbraio alle 22, ma ben prima che lo spettacolo avesse inizio, via Belsiana era già affollata da giornalisti, critici, artisti, politici. Intorno alle 21 diverse pattuglie della pubblica sicurezza bloccarono l’accesso alla strada e l’ingresso al teatro, mentre altri agenti entrati in sala raggiungevano gli attori frapponendosi tra loro e gli spettatori già presenti per invitarli a uscire adducendo non meglio precisati problemi di agibilità.
Il Vicario sotto assedio
La fredda serata fu illuminata dai flash dei fotografi. All’esterno in molti cominciarono a urlare “libertà”, “luglio ’60 – luglio ’60” e a intonare canzoni di lotta partigiana. Alla prima carica della polizia ci furono diversi contusi e coloro che non intendevano lasciare la zona furono portati via di peso e in qualche caso fermati. La compagnia decise di non abbandonare il teatro e incaricò Giangiacomo Feltrinelli di fare da portavoce con l’esterno finché la polizia non permise alla stampa di scendere nel sotterraneo. I funzionari della questura regolavano gli ingressi come se fosse in atto uno scambio di ostaggi: un giornalista per un attore. Volonté fu costretto a ripetere a ogni nuovo arrivato di non essere iscritto ad alcun partito e che la scelta del Vicario non aveva un significato politico. Lo rappresentazione infatti nasceva dalla necessità di capire quanto accaduto durante la guerra da parte di chi all’epoca era un bambino.
La dichiarazione di Volonté
In uno dei tanti articoli del giorno dopo si leggeva: «La mia ambizione è di farne un oratorio, un dibattito di idee. I personaggi si limitano ad esporre ognuno la propria convinzione, il pubblico ascolta, giudica. Agli spettatori lasciamo la risposta sul tremendo interrogativo storico. Per non influenzarli, i preti, Papa compreso, sono tutti vestiti con una tonaca nera, gli ebrei con un cappotto marrone, i tedeschi con un giubbetto grigio, i laici con una specie di smoking […]. Il Papa espone la sua ragione di Stato che lo ha convinto ad agire come ha agito. Neppure una parola contro di lui».
La visita di Carlo Levi e di Giuliano Pajetta.
Nel corso della notte ci fu poi chi riuscì a intrufolarsi nel teatro per portare viveri e coperte, molto apprezzati dai resistenti, immortalati dagli scatti di Mario Dondero e Giacomo Alexis con un bicchiere di vino o distesi sulle panche della platea. L’indomani mattina la compagnia ricevette la visita dei deputati comunisti Giuliano Pajetta e Mario Alicata, del senatore socialista Ercole Bonacina e del senatore Carlo Levi. Gian Maria Volonté annunciò le mosse successive: «Il Vicario è soltanto il primo spettacolo. Dopo il lavoro di Hochhuth abbiamo in programma Il balcone di Genet, La cimice di Majakovskij e un inedito d’ignoto elisabettiano, Arden of Faversham. Certo, è un programma coraggioso, nel quale sono comprese opere che in Italia il teatro tradizionale non rappresenta. Noi siamo convinti che non esiste crisi del teatro, ma di cervelli, di iniziative e anche crisi di libertà».
Carla Gravina
Nella tarda serata del 14 febbraio arrivò anche Carla Gravina, impegnata in quei giorni in teatro a Napoli. L’attrice, pur essendo tra i fondatori del Teatro Scelta, aveva preferito prendere altre strade. L’inviato de «l’Unità» la definì moglie di Gian Maria Volonté, difficile stabilire se si trattasse di una semplice distrazione o di scelta di partito. Tra gli articoli a commento della vicenda, quello della rivista «Il Dramma» fu uno dei più duri: «A Roma – diciamo a Roma, culla della Cristianità e sede del Vaticano – l’attore Volonté, con la sensibilità di un elefante, ha tentato la rappresentazione di quel libello sceneggiato ormai notissimo che è Il Vicario […]. Il Volonté non ha alcuna qualifica seria per un tentativo del genere, ed i suoi accoliti sono meno che zero, artisticamente».
Il Vicario letto alla Feltrinelli
Nel pomeriggio del 15 gli attori, escluso Gian Maria Volonté, lasciarono alla chetichella il teatro. Improvvisarono una lettura semiclandestina in un magazzino della libreria Feltrinelli in via del Babuino alla presenza dell’editore e di circa centocinquanta invitati tra i quali Francesco Rosi. Poche ore dopo, soddisfatti del risultato e del clamore suscitato, la compagnia mise fine all’occupazione. Nei giorni seguenti le polemiche si spostarono nel Parlamento. I deputati democristiani protestarono che lo spettacolo non fosse stato ancora definitivamente annullato. Le forze di sinistra denunciarono i metodi della polizia e il divieto ingiustificato alla rappresentazione. Due giorni dopo il ministro dell’Interno Taviani motivò il divieto allo spettacolo con l’articolo 1 del Concordato del 1929: «In considerazione del carattere sacro della città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere».
La bomba al Vaticano
La notte del 17 febbraio una bomba carta esplose all’ingresso vaticano di via di Porta Angelica. La questura collegò l’episodio al Vicario e subito i sospetti caddero su Claudio Volonté, ex militante missino. Giunto da poche ore a Cuneo per le riprese di un film Rai, Gian Maria Volonté inviò un telegramma al fratello: «Caro Claudio sto per iniziare le riprese del Voltagabbana stop Il ricatto morale è l’arma dei mediocri accetta tutto con dignità io ti so onesto profondamente ti voglio bene Gianmaria». Dopo venti ore d’interrogatorio, Claudio venne rilasciato. La fidanzata, l’attrice Dominique Boschero, aveva dichiarato che erano insieme al momento dell’esplosione.
Gian Maria e Claudio
Gian Maria Volonté rilasciò alcune dichiarazioni: «Impossibile che sia stato lui. È una macchinazione nei miei confronti. Non importa che lo abbiano denunciato. Non può essere stato lui a mettere la bomba perché ora è cambiato […]. Allora mi chiamava traditore per le mie idee. Cinque anni fa lo presi con me a Trieste, lo aiutai, lo convinsi, ora è un altro. Dicono che sia iscritto al Psiup. Non lo so. Certo non ha più le idee politiche di prima. Quindi non può essere stato lui a mettere la bomba». Nella stessa pagina del quotidiano «La Stampa», quasi fosse un dialogo a distanza, Claudio confermò le parole di Gian Maria: «Uscito dall’Accademia d’arte drammatica, dove mi aveva mandato mio fratello, mi sono proposto di fare soltanto l’attore. Adesso qualcuno vuole collegare l’episodio del Vaticano con i miei trascorsi giudiziari che ero ben contento di aver dimenticato. Cose di quando ero minorenne».
La prima rappresentazione del Vicario
Annullato l’evento romano in via Belsiana, la prima rappresentazione completa del Vicario avvenne il 26 febbraio a Firenze, la città di Carlo Cecchi che racconta: «Fu aggirato l’ostacolo del debutto grazie all’amico Franco Montanaro, molto vicino a La Malfa, perché come al solito i comunisti venivano a darci la loro solidarietà, ma si sarebbero ben guardati dall’aiutarci a farlo, perché non volevano dispiacere le gerarchie ecclesiastiche. Per cui grazie a questo amico costruimmo una possibilità concreta per debuttare scegliendo come luogo dove recitare uno spazio extraterritoriale, cioè nel teatro dell’Università di Firenze, nel salone di Sant’Apollonia». La serata fu organizzata dalla federazione giovanile del partito Repubblicano in collaborazione con l’Oruf (Organismo rappresentativo universitario fiorentino).
Le quarantacinque tappe del Vicario
Tra le quarantacinque tappe del Vicario, organizzate con l’Arci, oltre a quelle di Bologna, Reggio Emilia, Teramo e Perugia, vanno ricordate quella di Jesi, dove Volonté, eccezionalmente presente, sostituì uno degli attori e quella di Terni dove il diciottenne Oreste Scalzone fu impegnato nell’organizzazione dello spettacolo.
Il ricordo di Giacomo Piperno
Giacomo Piperno, che oltre a essere stato tra gli organizzatori del Vicario, fu anche l’interprete di Pio XII, spiega: «Gian Maria con il Vicario ha fatto qualcosa di estremamente forte e politicamente determinante rispetto alla stagnazione di quegli anni, ha anticipato di gran lunga il Sessantotto. Era il 1965, il clima culturale era ancora soffocante ma i primi fermenti giovanili già si facevano sentire. Fummo protagonisti di un un momento tormentato e anche entusiasmante. Fu un’esperienza molto forte che travalicò l’aspetto artistico per sfociare in qualcosa di politico al di sopra delle nostre forze, ma non al di sopra delle forze di Gian Maria che un po’ ambiguamente aveva giocato su tutti e due i fronti, quello della provocazione politica che a lui interessava, ma anche quello della pubblicità che si era scatenata intorno al suo nome. Questa esperienza del Vicario lo portò all’onore di tutte le cronache».