Il 10 giugno del 1963 Carla Gravina, Ilaria Occhini, Corrado Pani, Luca Ronconi e Gian Maria Volonté annunciarono la costituzione di una compagnia di prosa. Nelle prime intenzioni di quelli che la stampa definì i Nuovi Giovani c’era l’obiettivo di valorizzare i commediografi italiani. La compagnia cominciò, dentro un piccolo teatro romano, le prove di due commedie di Carlo Goldoni: La putta onorata e La buona moglie, fuse insieme in un unico spettacolo.
I Nuovi Giovani: tra curiosità e dubbi
La scelta di due testi classici destò tra gli appassionati un misto di curiosità e dubbi. Gian Maria Volonté e Luca Ronconi difesero la scelta e denunciarono lo sforzo compiuto per cogliere la modernità degli scritti. Il 7 dicembre, dopo mesi di preparazione, arrivò finalmente il debutto al Teatro Verdi di Pisa con un tutto esaurito. L’inizio sembrò dunque promettente, eppure pochi giorni dopo il trasferimento al Teatro Valle di Roma, la sala cominciò a svuotarsi. La compagnia fu costretta a sospendere le repliche e ad annullare le date. Nel giro di pochi giorni all’interno del gruppo ci fu una spaccatura: da una parte Ilaria Occhini, Corrado Pani e Luca Ronconi, intenzionati a continuare l’attività con un repertorio più tradizionale, dall’altra Volonté e Carla Gravina più inclini alla sperimentazione.
Le parole di Gian Maria Volonté
Volevo fare La cimice di Majakovskij, e l’impresario, il signor Leo Wätcher non ha voluto. Volevo fare Il balcone di Genet: non ha voluto. Ora, in queste due ultime settimane, avevo proposto I sotterranei del Vaticano, di Gide, ed Il Vicario. Neanche a parlarne. Non vogliono testi esplosivi, e poi mi accusano di essere andato a rispolverare Goldoni, e che Goldoni oggi non porta pubblico, e com’è possibile che una compagnia che si sceglie l’etichetta de I nuovi giovani poi non trovi di meglio da fare se non Goldoni, eccetera eccetera. Ma quando, in luglio, io ho proposto testi da giovani, non li hanno voluti. Avevano paura di non avere i rientri, insomma le sovvenzioni statali.
Ho scelto Goldoni perché ci credevo
Mi è stato suggerito, proprio dal Ministero dello Spettacolo, d’accordo con l’impresario, di scegliermi un autore tranquillo, che non desse grane. Io ho scelto Goldoni perché ci credevo; e perché c’è un modo di mettere in scena Goldoni, un modo popolare, verista, violento, che non è quello di tutto riposo, tutto ciprie e minuetti, che si immaginano i funzionari dello spettacolo. Purtroppo questa precisa versione critica di Goldoni, che noi abbiamo voluto dare con La buona moglie non è piaciuta al pubblico. Era una interpretazione avallata dal giudizio del De Santis e poi da Mario Dazzi e da molti studiosi di letteratura e di teatro. Goldoni stesso ha scritto: «L’unica mia cura nel fare commedie deve essere di non guastare il naturale».
In teatro il vuoto
Abbiamo ottime recensioni sui giornali ma in teatro il vuoto: certe sere facevamo trentacinquesima lire certe sere novantamila. Le ragioni non lo so. Davanti all’insuccesso, il clima nella compagnia ha cominciato a guastarsi: si può capire lo scoraggiamento, la sfiducia, ma un uomo che ha assunto precise responsabilità non si mette a piangere nei camerini, come ha fatto Corrado Pani, non grida che a lui interessa soltanto il teatro commerciale, che lui ha bisogno della sala piena e di fare i soldi. Anche Ilaria Occhini ha cominciato a brontolare: insistendo perché mettessimo in scena, dopo Goldoni, un testo come Una domenica a New York. Per me Una domenica a New York è un testo a fumetti. Ho detto e ripetuto che non lo faccio. Io volevo andare avanti con Goldoni, portarlo in altre piazze, dove forse sarebbe andato meglio.
Un repertorio da fumetti
Volevo allestire la seconda commedia in programma: ma la Occhini ha detto che non le interessava; Pani ha cominciato a provare nascondendosi nei camerini a piangere… Ora, loro tre – perché hanno trascinato anche Luca Ronconi, il regista, che è un ragazzo geniale ma un debole – vogliono continuare con un repertorio che io definisco da fumetti, cioè Una domenica a New York e robaccia del genere, comunque commedie con quattro o cinque personaggi, in modo che, d’accordo con l’impresario, liquideranno gli altri attori e i tecnici della compagnia per un boccone di pane e cercheranno di spartirsi i soldi da soli. A queste condizioni Carla Gravina ed io non ci stiamo.
[L’intervista a Gian Maria Volonté è in Adele Cambria, Polemiche fra «i nuovi giovani» dopo lo scioglimento della compagnia, «La Stampa», 3 gennaio 1964]