Gian Maria Volonté e altre storie

L’intervista: Gianfranco De Bosio ricorda Volonté

Incontro Gianfranco De Bosio nella sua casa di Milano. Ha 95 anni, è stato regista per il teatro, il cinema e la Tv, sceneggiatore e docente alla Scuola del Piccolo di Milano, una persona che non si ha difficoltà a chiamare maestro. Nel 1963 volle Gian Maria Volonté come protagonista del suo primo film. Il terrorista racconta una pagina personale di De Bosio, quella del Cln veneto e del comandante Otello Pighin, medaglia d’oro al valore militare della Resistenza. A distanza di oltre mezzo secolo Gianfranco De Bosio ha dell’attore un ricordo nitido.

Gian Maria era unico nel mondo teatrale

Scelsi Volonté attraverso la ricerca fatta con Tullio Kezich, produttore del film e sceneggiatore con me e Luigi Squarzina. In un primo tempo avevamo pensato ad attori più noti, come Enrico Maria Salerno. Dopo qualche colloquio avevo capito che solo Volonté aveva il desiderio di conoscere questo personaggio. Gian Maria era unico nel mondo teatrale italiano perché in genere l’attore era piuttosto distaccato dalla politica, disinteressato, diffidente, mentre lui era già impegnato.

Un’esperienza vitale

Volonté le cose più belle le ha fatte interpretando personaggi lontani da lui, quasi opposti. Un attore è importante nella misura in cui crea dei personaggi che non gli appartengono e lui è riuscito magnificamente in questo. Invece nel caso specifico del Terrorista è proprio il contario. Fu attratto dal fatto che io avessi partecipato alla Resistenza dal principio alla fine, e per giunta che lo avessi fatto in clandestinità. La sua fu una partecipazione piena, ci tengo a dirlo. Questo per lui era quasi un sogno, un mito, voleva sempre che gli riferissi per filo e per segno gli episodi reali. Si convinse che fosse importante per la sua formazione, perché non aveva conosciuto la vita clandestina né direttamente Pighin. Credo che in questo senso per lui sia stata un’esperienza vitale, sperimentare quello che lui non aveva vissuto, era molto curioso.

Volonté come Otello Pighin

Nel suo mito la rivoluzione era più vicina a questo mondo e a questo personaggio di quanto potesse vedere intorno a se. In quei mesi a Venezia partecipò con entusiasmo, un entusiasmo alla Volonté: era una persona di poche parole, non era portato a fare lunghe conversazioni, anche nel lavoro preferiva che si comunicasse in maniera breve, sintetica. Durante le riprese tra noi non ci sono mai stati contrasti. Gian Maria seguiva un sistema, quello di un incontro serale prima di girare, affinché durante la notte introiettasse la linea di regia. Era un grande professionista contrario all’improvvisazione, preferiva la linea meditativa. Aveva bisogno di elaborare lui stesso, poi nel caso di questo personaggio gli veniva più facile, probabilmente se anche lui avesse preso parte alla Resistenza avrebbe fatto più o meno quello che aveva fatto il personaggio del mio comandante, Otello Pighin.

Un film autobiografico

L’idea che avevamo con Tullio Kezich era quella di far vedere le contraddizioni del mondo della Resistenza, mentre tutta la linea ufficiale del cinema su questo tema era di esaltazione, perché sono proprio quelle contraddizioni ad aver portato alla rinuncia della linea resistenziale, e infatti la Resistenza è diventata mitica e quindi fuori uso.

Le contraddizioni della Resistenza

Il film in un certo senso è autobiografico. All’epoca avevo diciannove anni, non avevo esperienza politica. Mi sono formato all’interno della Resistenza  e soprattutto per l’ammirazione che nutrivo per Idelmo Mercandino, il rappresentante comunista del Cln di Verona, che veniva da Mosca e che aveva vissuto la guerra di Spagna. Credo di essere vivo per la presenza di Mercandino e l’esempio che lui mi dava di come vivere la Resistenza, cioè facendo il contrario di quello che facevano quasi tutti i resistenti, cioè continuando a vivere normale e dunque finendo malissimo. Io invece ho capito che bisognasse vivere clandestinamente fin dall’inizio e questa è la ragione per la quale sono ancora qua.

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